Il Volontariato è una cosa seria … e complessa

di Francesco Ceresia -

Articolo pubblicato il 16 maggio 2016 sul sito di AltraPsicologia.

Ho letto l’Accordo Quadro sottoscritto tra il CNOP e “Save the Children”.

Tralasciando l’analisi dell’oggetto del suddetto Accordo - di indubbia rilevanza sul piano sociale - e ogni valutazione sulla credibilità dell’interlocutore - “Save the Children” è forse la più autorevole ONLUS del settore - intendo segnalare al lettore alcuni punti.

In primo luogo, va detto che il volontariato è disciplinato dalla Legge n. 266 del 1991. La Repubblica italiana, riconoscendone l’alto valore sociale, lo incentiva. La Legge precisa inoltre che:

“per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà” (il grassetto è opera mia)

Per svolgere attività di volontariato, quindi, un individuo deve necessariamente far parte di un’Associazione di Volontariato regolarmente censita nei registri delle regioni e delle province autonome che ne disciplinano l’istituzione e la tenuta.

Ciò detto, nel testo dell’Accordo non viene precisato sotto quale Associazione di Volontariato gli psicologi coinvolti svolgeranno l’attività di volontariato. Saranno invitati a iscriversi all’Associazione “Save the Children” oppure a una terza Associazione di Volontariato?
Dubito che potranno operare come volontari nella loro qualità d’iscritti all’Ordine degli Psicologi, poiché non mi risulta che il CNOP sia un’Associazione di Volontariato.

In secondo luogo, l’Accordo Quadro prevede l’offerta di un percorso formativo per gli psicologi che aderiranno all’iniziativa. Tale offerta può rappresentare un’importante leva per incoraggiare il candidato volontario ad aderire all’iniziativa, come lucidamente segnalato dal collega Guido Contessa che, in un saggio pubblicato in Animazione Sociale (vol. 35 del Settembre 1980), introduce il concetto di “volontariato equivoco”. In un estratto di tale saggio, Guido Contessa scrive:

“Una forma assai diffusa di volontariato è quello che nasce da motivazioni di apprendimento o di inserimento al lavoro. (…) Dietro questo uso del termine di volontario si nascondono cioè situazioni di precariato, di addestramento o addirittura di lavoro nero. Questa situazione equivoca non solo danneggia il singolo operatore, ma anche l’immagine del volontariato in genere: essa nasconde una realtà di vero e proprio sfruttamento” (il grassetto è opera mia)

In un paese dove una parte non indifferente dei potenziali clienti o committenti di servizi psicologici constata quotidianamente - e quindi se ne convince - che l’accesso a taluni di questi servizi può anche essere garantito in forma gratuita, dove si registra un tasso di disoccupazione dei laureati nella fascia 25-34 anni del 16,2% in Italia e del 31,6% nel Mezzogiorno (fonte: Istat, 2015), le politiche di promozione del volontariato tra gli psicologi rischiano di tradursi in politiche utili a contrabbandare lo sfruttamento dei soggetti volontari come volontariato.

Utilizzando sempre le parole di Contessa (1980):

“(…) un’attività è davvero volontaria quando non deve ragionevolmente essere retribuita, cioè quando è accessoria e non sostitutiva. I volontari che lavorano al posto di operatori pubblici; quelli che prestano servizi al posto di servizi pubblici inesistenti; quelli che accettano convenzioni molto lontane dai normali livelli retributivi: possono essere definiti "volontari dello sfruttamento". Poco importa se dal punto di vista soggettivo costoro riportano dal loro servizio qualche gratificazione d’ordine morale, qualche beneficio di status, o qualche vantaggio perverso. In fondo nessun lavoratore sfruttato è del tutto privo di questi vantaggi soggettivi, che sono appunto la sola contropartita all’accettazione dello sfruttamento. Essi sono oggettivamente sfruttati nel senso che l’ente presso cui prestano la loro opera, ottiene dal loro lavoro dei benefici economici, di prestigio o di potere che non retribuisce. Occorre disoccultare attentamente queste situazioni anche laddove non appare un beneficio (…) economico. Spesso si tratta di benefici di potere o di prestigio, per le organizzazioni o per i capi” (il grassetto è opera mia)

Naturalmente, non è per nulla detto che tutto ciò debba applicarsi anche all’Accordo tra il CNOP e “Save the Children”. Il successo di tale iniziativa dipenderà da una molteplicità di fattori, tra i quali:

  1. la possibilità di utilizzare questa iniziativa come leva per l’inserimento professionale (quindi retribuito) di psicologi professionisti nel settore in questione
  2. la gratuità dell’attività di formazione per gli psicologi prevista dall’Accordo (e con ciò non intendo solo la gratuità dei corsi per gli psicologi che aderiranno, ma anche che i costi degli interventi formativi non saranno a carico del CNOP, cioè degli psicologi italiani), magari attraendo finanziamenti da terzi per sostenere economicamente le attività previste nell’Accordo (tale possibilità viene peraltro espressamente citata nell’Accordo stesso)
  3. il differenziale tra gli psicologi che aderiranno all’iniziativa avendo già un lavoro e un’adeguata retribuzione e gli psicologi che aderiranno all’iniziativa nella speranza di trovarlo … il lavoro.

Mi auguro che il CNOP si dimostri vincente su ciascuno di questi fattori. Sarà sufficiente osservare i fatti che tale Accordo sarà capace di generare per valutare la bontà dell’iniziativa.

Personalmente sono certo che i componenti del Consiglio Nazionale e dei Consigli Regionali dell’Ordine che l’hanno caldeggiata vi aderiranno in massa, svolgendo ampia attività di volontariato nell’ambito di tale Accordo.

Sono fiducioso che non un euro degli psicologi verrà speso per la formazione dei colleghi che aderiranno a tale accordo e che - al contrario - Il CNOP riuscirà ad attrarre capitali da finanziatori interessati a sostenere economicamente tale iniziativa.

Sono speranzoso che - a seguito di tale Accordo - si costruiranno nuovi spazi professionali per gli psicologi professionisti che, ricordiamolo, nel meridione d’Italia hanno un reddito medio lordo inferiore a € 10.000 (fonte: ENPAP, 2012).

Sono confidente infine che il CNOP, qualora intenda proseguire nel suo disegno d’interlocuzione con le Associazioni di Counseling, riuscirà a individuare - negli interstizi degli sviluppi di tale Accordo - adeguate attività di volontariato anche per i counselors, in modo da incrementare lo spazio di collaborazione con dei “colleghi”, così come sono stati qualificati nel marzo del c.a. dal presidente del CNOP, dott. Fulvio Giardina, in un suo intervento al Congresso Nazionale di Assocounseling.

Rispetto a quest’ultimo punto, mi permetto però di suggerire ai colleghi del CNOP di animare l’impegno dei counselors sul piano del volontariato con una certa moderazione.

I counselors devono lavorare e guadagnare … altrimenti come finanziano la loro formazione psicologica? Con le borse di studio dell’Istituto Italiano di Psicologia?

Non scherziamo.